Karma

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==Buddhismo==
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Il '''karma''' ([[sanscrito]]: कर्म , [[pāli]] ''kamma'', [[cinese]]: 業 [[pinyin]]: ''yè'', [[giapponese]]: ''gō'', [[tibetano]]: ''las'') è un "principio universale" secondo il quale un' "azione virtuosa volontaria" (che non produce sofferenza, chè etica orientale è quasi tutta al negativo, per cui massimo Bene non è fare bensì astenersi per quanto possibile da ogni fare, anche buono) genera benefici nelle vite successive, mentre un'azione "non virtuosa volontaria" (che produce sofferenza) genera malessere e disagi nelle vite successive. Il ''karma'', dunque, vincola tutti gli esseri senzienti al ciclo del [[samsāra]] poiché tutto ciò che l'essere farà, si ripercuoterà in una qualche "condanna" nelle vite future. Quando si compie (o si desidera di compiere) un'azione non virtuosa, si depositano nella vita stessa dei "semi" o "residui" (sans. ''vāsanā'') ) in seguito alla produzione di ''karma negativo''. Quando si compie un'azione virtuosa invece, si produce ''karma positivo''. Questi residui allungheranno la permanenza dell'esistenza nel samsāra. Esiste però un tipo di ''karma'' che non è né positivo né negativo, quello che porta alla "liberazione" (''Vimukti'') ed è indicato come ''aśukla avipāka karma karmaḳsayāya saṃvartate'' [3]. Ogni manifestazione degli esseri senzienti possiede una certa quantità di "semi del karma" che, finché non saranno esauriti, li costringeranno a permanere nel ciclo del [[samsāra]]. Questi "semi" sono frutto di azioni compiute in innumerevoli vite precedenti. Essi non possono diminuire ma possono essere distrutti con il raggiungimento dell'"illuminazione" ([[Bodhi]]). Con l'estinzione del debito karmico, l'essere non sarà più vincolato al ''karma'' e quindi al [[samsāra]] e potrà raggiungere il [[Nirvana (trascendenza)|Nirvana]]. Il significato e il ruolo attribuito alla dottrina del ''karma'' varia a seconda degli insegnamenti delle differenti scuole buddhiste.
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Il ''karma'' ([[sanscrito]]: कर्म , [[pāli]] ''kamma'', [[cinese]]: 業 [[pinyin]]: ''yè'', [[giapponese]]: ''gō'', [[tibetano]]: ''las'') è un "principio universale" secondo il quale un' "azione virtuosa volontaria" (che non produce sofferenza, chè etica orientale è quasi tutta al negativo, per cui massimo Bene non è fare bensì astenersi per quanto possibile da ogni fare, anche buono) genera benefici nelle vite successive, mentre un'azione "non virtuosa volontaria" (che produce sofferenza) genera malessere e disagi nelle vite successive. Il ''karma'', dunque, vincola tutti gli esseri senzienti al ciclo del [[samsāra]] poiché tutto ciò che l'essere farà, si ripercuoterà in una qualche "condanna" nelle vite future. Quando si compie (o si desidera di compiere) un'azione non virtuosa, si depositano nella vita stessa dei "semi" o "residui" (sans. ''vāsanā'') ) in seguito alla produzione di ''karma negativo''. Quando si compie un'azione virtuosa invece, si produce ''karma positivo''. Questi residui allungheranno la permanenza dell'esistenza nel samsāra. Esiste però un tipo di ''karma'' che non è né positivo né negativo, quello che porta alla "liberazione" (''Vimukti'') ed è indicato come ''aśukla avipāka karma karmaḳsayāya saṃvartate'' [3]. Ogni manifestazione degli esseri senzienti possiede una certa quantità di "semi del karma" che, finché non saranno esauriti, li costringeranno a permanere nel ciclo del [[samsāra]]. Questi "semi" sono frutto di azioni compiute in innumerevoli vite precedenti. Essi non possono diminuire ma possono essere distrutti con il raggiungimento dell'"illuminazione" ([[Bodhi]]). Con l'estinzione del debito karmico, l'essere non sarà più vincolato al ''karma'' e quindi al [[samsāra]] e potrà raggiungere il [[Nirvana (trascendenza)|Nirvana]]. Il significato e il ruolo attribuito alla dottrina del ''karma'' varia a seconda degli insegnamenti delle differenti scuole buddhiste.
:« ''O monaci, io non insegno altro che l'atto.'' »
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Karma è un termine sanscrito (कर्म, traducibile come agire, azione inizialmente inteso come esecuzione corretta dei rituali) che indica presso le filosofie orientali il principio di causa-effetto, un principio di concatenazione secondo il quale ogni azione provoca una reazione, vincolando gli esseri senzienti al Saṃsāra (il ciclo di morti e rinascite).

È la parte non-materiale delle azioni, ed è la causa del destino degli esseri viventi [1].

Il concetto di karma, sviluppato nelle Upaniṣad [2] e nel Vedānta, è centrale nell'Induismo, nel Buddhismo, nel Sikhismo e nel Jainismo. In Occidente si diffuse nel corso del XIX secolo, divulgato dalla Società Teosofica, ed è al centro di molte discipline New Age. Nel Neopaganesimo, e nella Wicca in particolare, il karma è legato alla genesi della Rede (Finché non fai del male a nessuno, fa' ciò che vuoi) e della Legge del tre.

Indice

Induismo

Il karma riguarda sia l'attività o l'agire in sé sia l'insieme delle conseguenze delle azioni compiute da un individuo nelle vite precedenti. Secondo il principio del karma le azioni del corpo, della parola e dello spirito (i pensieri) sono insieme causa e conseguenza di altre azioni: niente è dovuto al caso, ma ogni avvenimento, ogni gesto è legato insieme da una rete di interazioni di causa/effetto. Il principio del karma è valido esclusivamente all'interno del mondo materiale (prakriti) e del ciclo sempre riproducentesi di nascita-morte (Saṃsāra). Se si produce sofferenza o si interferisce negativamente con il Dharma o legge universale, si produce karma negativo; se si fa del bene, si produce karma positivo. Nelle vite successive (o nella vita corrente) si dovrà pagare o si verrà ripagati per le azioni compiute in precedenza. Successivamente assimilato o addirittura identificato come in un "dittico spirituale" inscindibile al Dharma ed associato alla stessa intenzione, buona o cattiva, sottesa ad un qualsiasi atto, che quindi ha ripercussioni positive o negative sulla vita futura di chi la compie o sul proseguio dell'esistenza attuale (assonanze con concetto di Volontà/istinto di vita e Amor fati di filosofia schopenahueriana e nietzscheana. Il Karma Yoga è uno dei modi di ottenere Moksha ovvero la liberazione.

Buddhismo

Il karma (sanscrito: कर्म , pāli kamma, cinese: 業 pinyin: , giapponese: , tibetano: las) è un "principio universale" secondo il quale un' "azione virtuosa volontaria" (che non produce sofferenza, chè etica orientale è quasi tutta al negativo, per cui massimo Bene non è fare bensì astenersi per quanto possibile da ogni fare, anche buono) genera benefici nelle vite successive, mentre un'azione "non virtuosa volontaria" (che produce sofferenza) genera malessere e disagi nelle vite successive. Il karma, dunque, vincola tutti gli esseri senzienti al ciclo del samsāra poiché tutto ciò che l'essere farà, si ripercuoterà in una qualche "condanna" nelle vite future. Quando si compie (o si desidera di compiere) un'azione non virtuosa, si depositano nella vita stessa dei "semi" o "residui" (sans. vāsanā) ) in seguito alla produzione di karma negativo. Quando si compie un'azione virtuosa invece, si produce karma positivo. Questi residui allungheranno la permanenza dell'esistenza nel samsāra. Esiste però un tipo di karma che non è né positivo né negativo, quello che porta alla "liberazione" (Vimukti) ed è indicato come aśukla avipāka karma karmaḳsayāya saṃvartate [3]. Ogni manifestazione degli esseri senzienti possiede una certa quantità di "semi del karma" che, finché non saranno esauriti, li costringeranno a permanere nel ciclo del samsāra. Questi "semi" sono frutto di azioni compiute in innumerevoli vite precedenti. Essi non possono diminuire ma possono essere distrutti con il raggiungimento dell'"illuminazione" (Bodhi). Con l'estinzione del debito karmico, l'essere non sarà più vincolato al karma e quindi al samsāra e potrà raggiungere il Nirvana. Il significato e il ruolo attribuito alla dottrina del karma varia a seconda degli insegnamenti delle differenti scuole buddhiste.

« O monaci, io non insegno altro che l'atto. »

Mahavastu, ed. E. Senart, I, 246

« Il mio atto è il mio bene, il mio atto è la mia eredità, il mio atto è la matrice che mi ha generato, il mio atto è la razza cui appartengo, il mio atto è il mio rifugio. »

Anguttara Nikàya, trad. David-Neel, Le Bouddhisme, p. 152.

Il compimento (samskhāra) dell'atto (karman) nel Buddhismo è visto in stretta relazione con l'intenzione (cetana), che ne determina le qualità morali [4]. Un gesto compiuto o un pensiero elaborato (prayatna) senza intenzione non produce effetti karmici, né negativi né positivi.

Il buddhismo Theravāda classifica in diversi modi il kamma. Una di queste modalità prende in considerazione il risultato che produce l'azione. E così si hanno le seguenti classi di kamma.

  1. [Atti] oscuri con risultati oscuri. Questi sono atti che sono dannosi, che violano uno o più precetti. Conducono ad una nuova esistenza di intenso dolore.
  2. Brillanti, o puri, con esiti brillanti. Una tale azione è innocua. In questa categoria è inclusa l'astensione dal prendere la vita, dal furto ecc. quando ciò è compiuto con l'intenzione di ottenere una rinascita favorevole. È detto che l'astensione dal male in tali circostanze conduca veramente ad una rinascita in uno stato di autentica benedizione.
  3. Sia oscuri che brillanti con esiti misti. Tali atti sono quelli che sono allo stesso tempo dannosi e benefici. Hanno esito in stati di esistenza che, come l'esistenza umana, conoscono sia il piacere che il dolore. Una caratteristica significativa di ciascuna di queste prime tre categorie è che muovono da un proposito. Ossia, sono compiute con l'intento di ottenere un godimento sensuale in questa vita, oppure una specifica rinascita.
  4. La quarta categoria di atti è chiamata "[atti] né oscuri né brillanti, con nessun tale esito". Atti di questa categoria finale conducono al consumo del kamma passato. Questa categoria di atti implica la rinuncia agli atti che conducono alla rinascita, che sia dolorosa o piacevole. Una tale azione, contrariamente a quelle delle prime tre categorie, è priva di sé. Per cui, dal punto di vista buddhista, è la sola da doversi perseguire.[1]

Condizionata dalla sola esistenza (bhava), la nascita (jati)[2] delle intenzioni non è reversibile e niente di ciò che esiste (tranne il nirvana) che sia una divinità, una pratica rituale, un rimorso, un rimpianto o la morte potrà impedire che se ne formi il frutto, che maturi e che si riversi sull'agente nelle condizioni determinate solo e solamente dall'atto medesimo. Per cui l'implacabile responsabilità personale va ricondotta sempre alle vite precedenti per una piena comprensione ed eventualmente distruzione degli atti medesimi, siano essi positivi (kusala) o negativi (akusala).

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Scrive lo studioso theravāda Ñanatiloka nel suo dizionario pāli-inglese: Template:Citazione

Ma si tenga presente che nel Buddhismo Mahāyāna l'errore nella condotta verso la Liberazione è duplice, vale a dire che esso «mette in moto la rinascita e allo stesso tempo è causa della sua estinzione»[3] per diretta conseguenza della visione mahayana dell'ignoranza (avidya) che è duplice, vale a dire falsa conoscenza (viparyasa) e non conoscenza (ajnana) che si risolve con l'eliminazione della prima e l'acquisizione positiva dell'onniscienza buddhica (sarvajna).

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Bibliografia

Note

1^ Klaus K. Klostermeier, Piccola enciclopedia dell'induismo, Arkeios, 2001, ISBN 9788886495592, pag. 97

2^ G. Tucci, Le Civilta dell'Oriente: storia, letteratura, religioni, filosofia, scienze e arte, G. Casini, 1970, pag. 614

3^ Cfr. Mizuno Kogen. Vol. 10, pag. 317.

4^ "Monaci io dico che l'atto è volizione; dopo aver voluto, uno compie l'atto col corpo, colla voce e col pensiero" Anguttara Nikàya, III, 415

Voci correlate


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