Lingua ebraica

Da Ufopedia.

Per lingua ebraica (in ebraico israeliano: עברית, ivrit) si intendono sia l'ebraico biblico (o classico), sia l'ebraico moderno, lingua ufficiale dello Stato di Israele, che conta circa 7 milioni di locutori. Generalmente quello biblico e quello moderno sono considerati come due stadi evolutivi diversi di una stessa lingua (per quanto vi siano a volte difformità notevoli tra lingua antica e contemporanea). L'ebraico è una lingua semitica, e perciò appartenente alla stessa famiglia che accoglie anche le lingue araba, aramaica, amarica, tigrina, ed altre. Per numero di locutori, l'ebraico è la terza lingua semitica dopo l'arabo e l'amarico.

In ufologia si pensa possa derivare dalla lingua mantidea.

C'è stato un cerchio nel grano che sarebbe una scritta in alfabeto ebraico antico. Il cerchio di 1991/08, Milk Hill, Stanton St.Bernhard, Wiltshire, UK, UE.

Indice

Il nome della lingua

Nella Tanakh (תנ"ך , abbreviazione di Torah, Nevyim e Khetubbim, "Legge, Profeti e Scritti") viene ricordato il nome Eber (עבר), attribuito ad un antenato del patriarca Abramo (Genesi 10, 21). Sulla stessa radice, nella Bibbia ricorre più volte la parola עברי (ivri, "ebreo"), sebbene la lingua degli Ebrei nelle Scritture non venga mai detta ivrit a significare "ebraico".

Per quanto il testo più famoso mai scritto in ebraico sia la Bibbia, il nome della lingua impiegata per la sua redazione non vi viene menzionato. Comunque, in due passi delle Scritture (Il Libro dei Re II, 18, 26 ed Isaia, 36, 11), si narra di come i messi del re Ezechia chiedessero a Ravshaqe, l'inviato del re assiro Sennacherib, di poter parlare nella "lingua di Aram" (ארמית aramit) e non nella "lingua della Giudea" (יהודית yehudit). Tale richiesta era volta ad evitare che il popolo, il quale apparentemente non doveva comprendere la prima, potesse capire le loro parole. È dunque possibile che il secondo termine ricordato possa essere stato il nome attribuito allora alla lingua ebraica, o quantomeno quello del dialetto parlato nell'area di Gerusalemme.

Oggi la lingua della Bibbia viene denominata "ebraico biblico", "ebraico classico", o anche, negli ambienti religiosi, "lingua santa". Ciò, al fine di distinguerla dall'ebraico della Mishnah (dagli studiosi detto anche con un'espressione ebraica לשון חז"ל, leshon hazal, la "lingua dei saggi"), che rappresenta un'evoluzione tarda dell'ebraico nel mondo antico.

Storia

Originariamente, quella ebraica fu la lingua utilizzata dagli Ebrei quando ancora vivevano in maggioranza nel Vicino Oriente. Si stima che circa 2000 anni fa l'ebraico fosse già in disuso come lingua parlata, venendo sostituita dall'aramaico.

In ebraico furono scritti gran parte dei libri della Bibbia, tutta la Mishnah, la maggior parte dei libri non canonici e gran parte dei Manoscritti del Mar Morto. La Bibbia fu scritta in ebraico biblico, mentre la Mishnah fu redatta in una varietà tarda della lingua, detta appunto "ebraico della Mishnah". Ad un certo punto durante il periodo del Secondo Tempio, o poco dopo (non esiste consenso in merito tra gli accademici), la maggior parte degli ebrei abbandonò l'uso quotidiano dell'ebraico come lingua parlata. Centinaia di anni dopo il Secondo Tempio, quando l'ebraico non era più parlato, il Talmud venne composto in aramaico. Nonostante ciò, vi sono indizi secondo i quali ancora nell'VIII secolo della nostra era, la lingua parlata a Tiberiade dai massoreti fosse l'ebraico.

Nei secoli seguenti, gli ebrei della diaspora continuarono ad adoperare questa lingua solo per le cerimonie religiose. Nella vita di tutti i giorni, gli ebrei si esprimevano invece in lingue locali o in altre lingue ebraiche come lo yiddish o il ladino, nate dall'incontro tra l'espressione ebraica e altre lingue, spesso scritte con l'alfabeto ebraico.

Inoltre, anche quando l'ebraico non rappresentò più la lingua parlata, esso continuò a fungere di generazione in generazione, durante tutto quello che viene detto il periodo dell'ebraico medioevale, da strumento principale di comunicazione scritta degli ebrei. Il suo status tra gli ebrei allora era analogo a quello del latino in Europa Occidentale tra i cristiani. Ciò soprattutto in questioni di natura halachica: per la stesura dei documenti dei tribunali religiosi, per le raccolte di halakhot, per i commenti ai testi sacri ecc. Anche la stesura di lettere e contratti tra ebrei veniva spesso effettuata in ebraico; poiché le donne leggevano l'ebraico ma non lo comprendevano perfettamente, la letteratura halachica ed esegetica loro destinata nelle comunità ashkenazite veniva scritta in yiddish (si pensi ad esempio al testo Tseno Ureno). Anche le opere ebraiche di natura non religiosa o non halachica, venivano composte nelle lingue degli ebrei, o in lingua straniera. Ad esempio, Maimonide scrisse il suo Mishne Torah in ebraico, mentre la sua famosa opera filosofica La Guida dei Perplessi, destinata agli eruditi del suo tempo, fu composta in giudeo-arabo. E comunque, le opere di soggetto laico o mondano venivano ritradotte in ebraico, se di interesse per le comunità ebraiche di altra lingua, come appunto nel caso della Guida dei Perplessi. Tra le famiglie più famose ad essersi occupate di traduzione dal giudeo-arabo all'ebraico durante il Medioevo furono gli Ibn Tibbon, un famiglia di rabbini e traduttori attiva in Provenza nel XII e XIII secolo.

L'ebraico entrò nella sua fase moderna con il movimento dell'Haskalah (l'Illuminismo ebraico) in Germania ed Europa Orientale a partire dal XVIII secolo. Sino al XIX secolo, che segnò gli inizi del movimento sionista, l'ebraico continuò a fungere da lingua scritta, soprattutto per scopi religiosi, ma anche per altri vari fini, quali filosofia, scienza, medicina e letteratura. Nel corso di tutto il secolo XIX l'uso che dell'ebraico si fece a fini laici o mondani andò rafforzandosi.

Contemporaneamente al movimento del risorgimento nazionale, iniziò anche l'attività volta a trasformare l'ebraico nella lingua parlata della comunità ebraica in Terra d'Israele (lo yishuv) e per gli ebrei che immigravano nella Palestina ottomana. Il linguista ed entusiasta che diede attuazione pratica all'idea fu Eliezer Ben Yehuda, un ebreo lituano che era emigrato in Palestina nel 1881. Fu lui a creare nuove parole per i concetti legati alla vita moderna, che nell'ebraico classico non esistevano. Il passaggio all'ebraico come lingua di comunicazione dello yishuv in Terra d'Israele fu relativamente rapido. Parallelamente l'ebraico parlato venne sviluppandosi anche in altri centri ebraici dell'Europa Orientale.

Jospeh Roth riporta una storiella su Herzl e Ben Yehuda. Questa racconta che, poco tempo prima del Primo Congresso Sionista, in un salotto borghese del Centreuropa, il giornalista, nonché fondatore del Sionismo, Theodor Herzl incontrò il linguista Eliezer Ben Yehuda, un ebreo lituano, che sperava di far rinascere l'antica lingua ebraica, ormai relegata al solo rituale del sabato. Ognuno dei due, sentendo raccontare l'altro circa la propria utopia, fece finta di coglierne il fascino, ma, appena lasciato l'interlocutore, ben pensò di spettegolare e malignare quanto assurdo e inattuabile fosse il proposito di questi. A dispetto dei detrattori, entrambi i sogni furono realizzati [1].

Con la costituzione del governo mandatario britannico nel paese, l'ebraico fu stabilito come terza lingua ufficiale, al fianco dell'arabo e dell'inglese. Alla vigilia della costituzione dello Stato di Israele, essa era già la lingua principale di tutto lo yishuv ebraico, e lingua di studio nei suoi centri di formazione.

Nel 1948, l'ebraico diventò la lingua ufficiale di Israele, insieme all'arabo. Al giorno d'oggi, pur mantenendo un legame con l'ebraico classico, l'ebraico è una lingua che viene usata in tutti i campi della vita, incluse scienza e letteratura. Al suo interno sono confluiti influssi provenienti dallo yiddish, dall'arabo, dal russo e dall'inglese. I locutori di ebraico israeliano sono circa 7 milioni, dei quali la stragrande maggioranza risiede in Israele. Grossomodo una metà sono locutori nativi, cioè di lingua madre ebraica, mentre il restante cinquanta per cento possiede l'ebraico come lingua seconda.

Sulla scorta della tradizione europea, che trova la sua prima espressione nella costituzione dell'Accademia della Lingua Francese, anche in Israele esiste un organo ufficiale che detta lo standard linguistico: l'Accademia della Lingua Ebraica. Sebbene la sua influenza reale sia limitata, essa opera con forza di legge. L'istituto si occupa principalmente di creare nuovi termini e nuovi strumenti lessicali e morfosintattici, attraverso decisioni che sarebbero vincolanti per gli organi istituzionali e le strutture scolastiche statali. Nei fatti, gran parte delle sue decisioni non vengono accolte. Lo sviluppo del settore dei dizionari d'uso corrente nell'Israele degli anni '90, ha prodotto alcuni dizionari e lessici che attestano invece la lingua ebraica israeliana reale, e che rappresentano una fonte di autorità alternativa all'Accademia della Lingua Ebraica.

Gli ebrei ortodossi non accettarono inizialmente l'idea di usare la "lingua santa" ebraica per la vita quotidiana, e tutt'oggi in Israele alcuni gruppi di ebrei ultra-ortodossi continuano ad usare lo Yiddish per la vita di ogni giorno.

Le comunità ebraiche della diaspora continuano a parlare altre lingue, ma gli ebrei che si trasferiscono in Israele hanno sempre dovuto imparare questa lingua per potersi inserire.

Scrittura e fonetica

L'ebraico si scrive da destra a sinistra. Il suo alfabeto comprende 22 lettere di valore consonantico (cinque delle quali posseggono una forma distinta in fine di parola), più altri segni grafici, questi ultimi sviluppatisi in periodo relativamente tardo, volti a rappresentare la pronuncia delle vocali. Come quello arabo, l'alfabeto ebraico non trascrive le vocali, se non sotto forma di tali piccoli segni posti al di sopra, al di sotto o all'interno delle parole. Come si vedrà in seguito, la vocalizzazione ha comunque importanza per il significato. Si veda la voce alfabeto ebraico per la lista delle lettere e per le corrispondenze fonetiche.

Il sistema di trascrizione delle vocali, detto ניקוד (nikud "puntatura") di solito non viene utilizzato nella lingua quotidiana. Nei libri della Bibbia, di poesia e nei libri per bambini, è invece cosa comune indicare la vocalizzazione tramite il nikud. I segni del nikud oggi comuni furono inventati a Tiberiade nel VII secolo, ed in origine fungevano da ausilio mnemonico nella lettura corretta della Bibbia. In passato esistettero anche sistemi di nikud alternativi, che oggi non si sono conservati in uso. I saggi di Tiberiade aggiunsero anche dei segni per gli accenti nella Bibbia. Questi indicano le pause ed i modi dell'intonazione con la quale vanno letti i versetti biblici. Gli accenti oggi vengono stampati solo nei libri della Bibbia. In tutti gli altri testi viene fatto uso dei comuni segni di interpunzione sviluppati in Europa, ed impiegati in gran parte delle lingue del mondo.

La caratteristica più nota ed evidente della scrittura ebraica corrente, è la forma squadrata delle sue lettere. Il tipo impiegato a stampa, detto Frank Ruehl, è diffusissimo nonostante le critiche che gli vengono mosse per il fatto che alcune lettere sono molto simili tra di loro, il che le rende difficili da distinguere. Es.: א - צ, ג - נ, ב - כ, ו - ז, ח - ת, ר - ד ecc.

L'alfabeto ebraico "quadrato" oggi conosciuto è una variante dell'alfabeto dell'"aramaico d'Impero", lingua di cancelleria dell'impero persiano, che aveva rimpiazzato il precedente alfabeto fenicio-ebraico impiegato nel Regno di Giuda, nel Regno di Israele ed in gran parte del Medio Oriente antico precedentemente alla cattività babilonese. L'alfabeto ebraico-fenicio non si estinse completamente, se non dopo la Rivolta di Bar Kokhba. Al tempo della rivolta, Bar Kokhba batté moneta, e adotto quell'alfabeto per le scritte. Lo stesso alfabeto appare anche sulle monete dell'odierno Stato di Israele, ad esempio sulla moneta da 1 shekel (1 NIS).

A fianco alla forma a stampa delle lettere, o alfabeto quadrato, esiste anche un alfabeto corsivo per la scrittura rapida; tale scrittura si caratterizza per le linee arrotondate, ed è di uso molto comune nei testi scritti a mano. L'origine di tale scrittura corsiva è nelle comunità ebraiche ashkenazite europee.

Una forma alternativa di corsivo, oggi quasi abbandonata, viene detta Rashi, e si originò nelle comunità ebraiche sefardite. Questo nome deriva dal fatto che il primo libro ad essere stampato in tale alfabeto fu il commento di Rashi. Si è soliti impiegare questo alfabeto per stampare i commenti tradizionali alla Bibbia ed al Talmud. Alcuni tentativi di introdurlo anche per la stampa di testi nella vita quotidiana non ebbero successo, ed oggi esso è accettato solo per la stampa dei commentari religiosi tradizionali.

La pronuncia dell'ebraico ha subito grandi mutamenti nel corso dei millenni della sua esistenza. Nel XIX secolo, i rinnovatori della lingua ebraica aspiravano ad adottare la pronuncia ebraica spagnola, in particolare quella corrente nella comunità ebraica spagnola di Gerusalemme. Ciò per il prestigio del quale godeva un tempo la comunità ebraica sefardita di Gerusalemme, ed a causa del fatto che la sua pronuncia era oltremodo vicina a quella attestata dal nikud massoretico alla Bibbia. Però, gran parte dei rinnovatori della lingua ebraica così come i loro sostenitori erano ebrei ashkenaziti dell'Euoropa orientale, e la pronuncia dell'ebraico che essi conoscevano era molto diversa. Nonostante gli sforzi volti a conferire una pronuncia sefardita all'ebraico di nuovo parlato, l'influsso della pronuncia ashkenazita e l'accento della lingua yiddish sono chiaramente percepibili in ebraico moderno.

Struttura

Caratteristica dell'ebraico, come delle altre lingue semitiche, è la radice: un morfema discontinuo in genere tri- o quadriconsonantico, dal quale vengono derivate parole riconducibili ad uno stesso campo semantico. In italiano le radici ebraiche vengono tradizionalmente indicate scrivendone le consonanti in maiuscolo. Le consonanti della radice, scrivendo in ebraico, venivano solitamentre trascritte separandole con un punto (es: כ.ת.ב ); oggi le convenzioni grammaticali imporrebbero l'uso del trattino ( es: כ-ת-ב ), poiché il punto indica una pausa lunga, mentre il trattino congiunge. Similmente, l'espressione in stato costrutto בית-ספר (bet-sefer "scuola", lett. "casa del libro") vede l'impiego del trattino: non ci troviamo infatti di fronte alla parola בית (bayt "casa") separata dall'altra, ספר (sefer "libro"), ma siamo di fronte ad una sola parola composta da due elementi in funzione di nome comune. Così ad esempio anche per la radice KTV: le lettere che la rappresentano non sono ת כ e ב, bensì la radice è un'unità con un suo significato specifico: כ-ת-ב.

Gran parte degli studiosi concordano sul fatto che originariamente esistessero radici biconsonantiche, quali ב-א e ק-ם (sebbene secondo l'Accademia della Lingua Ebraica tali radici vadano considerate trilitteri: ב-ו-א e ק-ו-ם).

Le radici non compaiono mai da sole in quanto tali nella lingua, bensì come componenti delle parole, unitamente ad altri morfemi. La radice, modificata da prefissi, suffissi, ed adeguatamente vocalizzata, assume significati diversi. Ad esempio dalla radice כ-ת-ב KTV, riconducibile all'idea dello scrivere, derivano לכתוב (likhtov, "scrivere"), מכתב (mikhtav, "lettera"), כתובת (ktovet, "indirizzo"), להכתיב (lehakhtiv, "dettare"); dalla radice קשר QShR, che esprime il concetto di collegamento, derivano i vocaboli קשר (kesher, "contatto personale") e תקשורת (tikshoret, "comunicazione").

Principalmente attraverso il prestito lessicale, il moderno ebraico arriva anche a creare radici di quattro consonanti e più, come ad esempio ד-ס-ק-ס DSQS: לדסקס (ledasqes, trascritto spesso ledaskes "discutere", dall'inglese to discuss); o ט-ל-פ-נ TLPN: טלפון (telepon, solitamente trascritto telefon, "telefono", dall'equivalente parola inglese o dal francese); o ט-ל-ג-ר-פ TLGRP: לטלגרף (letalgrep, solitamente trascritto letalgref, dall'inglese o dal francese "spedire un telegramma").

Talvolta, l'ebraico moderno forma neologismi attraverso la combinazione di elementi lessicali preesistenti; in tali casi le loro radici non risultano agilmente definibili in un quadro tradizionale. Ad esempio, parole quali רמזור (ramzor "semaforo") , o מדרחוב (midrahov "strada, isola pedonale"), derivate rispettivamente da רמז+אור e מדרכה+רחוב (remez, "segnale" e or, "luce", per "semaforo"; e midrakhah, "marciapiede" e rehov "via", per "strada, isola pedonale"). Dalla parola ramzor è stata comunque derivata una radice ר-מ-ז-ר RMZR, attestata ad esempio nell'espressione צומת מרומזר (tsomet merumzar "incrocio con semaforo").

Il legame semantico tra parole derivate dalla stessa radice con il tempo può divenire confuso e non è necessariamente evidente o certo. Così, ad esempio, i verbi נפל (nafal "cadere") e התנפל (hitnapel "assaltare") derivano dalla stessa radice נ-פ-ל NPL, sebbene i due significati si siano molto differenziati nel tempo. I verbi פסל (pasal "annullare") e פיסל (pissel "scolpire"), sembrerebbero derivare da una stessa radice PSL, ma non vi è tra di loro alcun legame semantico, perché il secondo viene da una radice attestata in ebraico biblico, mentre il primo viene da una parola aramaica accolta in ebraico in un periodo più tardo. Attualmente non esiste consenso tra i linguisti sul ruolo della radice nella lingua. Vi è chi sostiene la tesi che essa rappresenti una parte inscindibile del patrimonio lessicale, anche se compare solo congiuntamente con altri morfemi, e vi è chi la vede come manifestazione linguistica della quale i locutori non sono necessariamente coscienti a livello intuitivo.

Verbi

I verbi sono esprimibili in sette forme (binyanim, letteralmente 'costruzioni'), che solitamente modificano il significato. I nomi dei binyanim derivano dalla radice פעל (pa'al = lavoro), salvo il binyan di base, che è definito קל (qal = facile).

Qal (Pa'al) (קל (פעל attivo fare
Nif'al נפעל passivo del Kal (Pa'al) venir fatto
Pi'el פִּעֵל intensivo fare (abitualmente)
Pu'al פֻּעַל passivo del Pi'el venir fatto (abitualmente)
Hif'il הִפְעִיל causativo far fare
Huf'al הֻפְעַל passivo del Hif'il venir fatto fare
Hitpa'el הִתְפַּעֵל riflessivo farsi
I binyanim.

Ciascun binyan ha due modi verbali (indicativo e infinito); nell'indicativo esistono un tempo presente, di tipo participiale, un passato, un futuro e un imperativo. Non esistono tempi composti (come i trapassati italiani). Nel caso, abbastanza raro, di radici tetraletterali, il verbo segue una flessione simile al Pi'el con sdoppiamento della vocale mediana (ad esempio il verbo leTaFKed "funzionare" al passato fa "TiFKeD" esattamente come da leDaBBeR "parlare" abbiamo "DiBBeR").

Vi è distinzione tra maschile e femminile nella forma participiale del presente, ed in alcune forme di passato e futuro.

Sostantivi

Come nelle lingue neolatine moderne, vi è una declinazione del nome solo per il numero ed il genere. Nel caso più comune, il nome maschile originale assume una ה- (vocale a + h muta) finale oppure una ת- (-t spesso con accento sulla penultima sillaba) al femminile singolare, e la desinenza ים– (-im) al maschile plurale, ות– (-ot) al femminile plurale. Ma ci sono moltissimi termini maschili che hanno desinenza plurale -ot pur rimanendo maschili (e perciò gli eventuali aggettivi vanno messi al plurale in -im: ner = candela, nerot = candele, ner lavan = candela bianca, nerot levanim = candele bianche). Un'altra parte di termini femminili invece hanno la desinenza maschile in -im, pur rimanendo femminili (yonah = colomba, yonim = colombe, yonah levanah = colomba bianca, yonim levanot = colombe bianche).

Oltre a singolare e plurale, numerosi vocaboli ammettono una forma duale, sempre scritta ים– ma letta -aim. La grandissima maggioranza dei termini duali sono oggetti composti da due parti uguali (ofannaim = bicicletta, misparaim = forbici, mishqafaim = occhiali) e quasi tutte le parti doppie del corpo umano e animale, (birkaim = ginocchia, shinnaim = denti, oznaim = orecchie, sfataim = labbra, yadaim = mani, eynaim = occhi, qarsullaim = caviglie, leẖayaim = guance, ẖanikhaim = gengive; ma: battey seẖi = ascelle), che di norma vogliono il genere femminile.

I dialetti dell'ebraico

In ebraico israeliano praticamente non esistono dialetti su base geografica. La lingua, per come la si ascolta pronunziata dai suoi locutori nativi, è di fatto identica in tutte le parti di Israele. È possibile avvertire una differenza d'accento nell'ebraico parlato dalle varie comunità ebraiche (etnoletti), ma tale differenza si esprime principalmente a livello fonetico, e non nella sintassi o nella morfologia. Alcune differenze morfosintattiche si possono manifestare in relazione al livello di lingua posseduto (socioletti), ma queste sono di importanza relativamente ridotta. La specificità dell'ebraico moderno risiede nel fatto che essa serve in grande misura come lingua veicolare tra persone la cui lingua madre è un'altra, in quanto il numero di locutori non madrelingua equivale più o meno a quello dei madrelingua. In Israele l'ebraico funge da strumento di comunicazione tra comunità allofone. Ad esempio, i dibattiti alla Knesset, nei tribunali ecc. si svolgono in ebraico, anche se le varie parti appartengono a gruppi la cui lingua non è l'ebraico.

Ethnologue [2] identifica le varietà attualmente parlate dell'ebraico con le denominazioni Standard Hebrew (l'ebraico standard israeliano, europeizzato, di uso generale) e Oriental Hebrew (l'"ebraico orientale", di pronuncia arabizzante; l'ebraico yemenita). Questi termini si applicano alle due varietà utilizzate per la comunicazione da parte dei madrelingua israeliani. "Arabizzante" non significa che quell'ebraico differisca dall'altra varietà a causa di un influsso derivante dall'arabo. Piuttosto, l'ebraico orientale riesce a mantenere delle caratteristiche antiche per il fatto che esse erano condivise con l'arabo, mentre le stesse caratteristiche sono andate perse in altre parti del mondo dove l'ebraico ha perso il contatto con la lingua araba.

Gli immigranti vengono incoraggiati ad adottare lo Standard Hebrew come propria lingua quotidiana. L'ebraico standard nelle intenzioni di Eliezer Ben Yehuda, doveva basarsi sulla grafia mishnaica e sulla pronuncia ebraica sefardita. Però, i primi locutori di ebraico erano di madrelingua yiddish, e spesso trasferirono in ebraico modi di dire e traduzioni alla lettera dallo yiddish. Anche fonologicamente tale varietà può essere descritta come un amalgama di pronunce, tra le quali spiccano quella sefardita per il vocalismo, e quella yiddish per alcune consonanti, che spesso non vengono distinte correttamente. Così, la lingua parlata in Israele ha finito con il semplificarsi e con il conformarsi alla fonologia dello yiddish, nei seguenti punti:

È con tale tendenza alla semplificazione che si spiega anche l'unificazione di [t] e [s], allofoni in area ashkenazita del fonema /t/ (avente come controparte grafica ת‎), i quali convergono nella realizzazione unica [t]. Molti dialetti orientali o sefarditi presentano lo stesso fenomeno, ma gli ebraici dello Yemen e dell'Iraq continuano a differenziare i fonemi /t/ e /θ/.

In Israele, soprattutto, la pronuncia dell'ebraico finisce con il riflettere l'origine diasporica del locutore, piuttosto che adeguarsi alle raccomandazioni specifiche dell'Accademia. Per questo motivo, più di metà della popolazione pronuncia la lettera resh ר come [ʀ] (vibrante uvulare come in yiddish ed alcuni dialetti tedeschi), o come [ʁ] (fricativa uvulare sonora come in francese o in altri dialetti tedeschi), e non come [r] (vibrante alveolare, come in spagnolo o in italiano). La realizzazione di questo fonema è spesso utilizzata dagli israeliani come un moderno shibboeth, per determinare l'origine di chi proviene da un altro paese.

Esistono differenti visioni sullo status delle due varietà. Da un lato, gli israeliani di origine sefardita o orientale vengono ammirati per la purezza della loro pronuncia, e spesso gli ebrei yemeniti lavorano come annunciatori alla radio e nei notiziari. D'altro canto, la pronuncia ashkenazita della classe media viene considerata come sofisticata e mitteleuropea, tanto che molti ebrei mizrahi (orientali) si sono avvicinati a questa versione dello Standard Hebrew, addirittura facendo propria la resh fricativa uvulare. Un tempo gli abitanti del nord di Israele pronunciavano il bet rafe (senza dagesh) come /b/ in accordo con la pronuncia tradizionale sefardita. Ciò veniva percepito come rustico ed oggi tale pronuncia è scomparsa. Si può inoltre ricordare che un gerosolimitano si riconosce dalla sua pronuncia della parola "duecento" come ma'atayim (parola resa altrove nel paese come matayim).

In Cisgiordania (Giudea e Samaria), come fino a qualche tempo fa anche nella Striscia di Gaza, l'ebraico è la lingua dell'amministrazione, al fianco dell'arabo proprio alla maggioranza delle popolazioni locali. Contrariamente agli arabi di cittadinanza israeliana, i quali apprendono l'ebraico attraverso il sistema scolastico sin da una giovane età, e conducono la propria vita praticamente da bilingui, gran parte degli arabi dei Territori Occupati, posseggono l'ebraico solo in maniera parziale, quando non lo ignorano completamente. Nonostante ciò, l'influenza dell'ebraico sul loro arabo è ben evidente, soprattutto nella quantità dei prestiti. Con il rafforzarsi dei flussi migratori di lavoratori stranieri verso Israele, si è venuto formando un pidgin ebraico che funge da mezzo di comunicazione tra questi lavoratori ed i locutori israeliani di ebraico.

Lingue influenzate dall'ebraico

L'influsso dell'ebraico spicca nelle lingue degli ebrei. Lo yiddish, parlato dalle comunità ashkenazite europee e la cui origine viene ricondotta ad un qualche dialetto tedesco, ha preso in prestito molte parole dall'ebraico (un 20% del proprio vocabolario). Nell'alfabeto ebraico per come è stato adattato allo yiddish, parte dei segni vengono reimpiegati per indicare le vocali. Ad esempio, il segno ע (ayin) trova impiego per rappresentare il fonema /e/. Comunque, i prestiti lessicali dall'ebraico continuano a rispettare la grafia originaria, nonostante la pronuncia possa essere molto difforme. Così, ad esempio, la parola אמת (emet "verità", la quale però in yiddish si pronuncia /emes/) conserva la forma orginale ebraica e non si scrive "עמעס" (la scrittura fonetica dei termini ebraici ed aramaici dello yiddish compare solo nello yiddish sovietico). Una storiella yiddish racconta che altrimenti il nome נח (Noah, "Noè") in yiddish si scriverebbe con sette errori, e cioè נאָייעך Noyekh.

Il judeo-espanyol, noto anche come espanyol, e spesso detto ladino, sviluppatosi dal castigliano e parlato dalle comunità ebraiche sefardite di tutto il mondo, ha preso anch'esso molte parole dall'ebraico, oltre ad essere scritto in alfabeto ebraico, e per la precisione in caratteri Rashi (sebbene esista anche un sistema di trascrizione in caratteri latini).

Forti influenze dell'ebraico si riscontrano anche nella lingua caraima, l'idioma dei caraimi. Le piccole comunità caraime, etnicamente e linguisticamente di origine turca, sono sparse in alcune enclave tra Lituania, Ucraina occidentale e, un tempo, Crimea e professano il caraismo.

L'arabo degli ebrei, la lingua delle comunità ebraiche nell'impero musulmano, in particolare nel Maghreb, nel quale furono scritti Mishneh Torah di Maimonide ed altre opere importanti, si scriveva anch'esso in lettere ebraiche.

Altre lingue furono influenzate dall'ebraico attraverso le traduzioni della Bibbia. La parola שבת (shabbat "sabato") ad esempio è diffusissima in moltissime lingue del mondo ad indicare il settimo giorno della settimana (o il sesto, nelle lingue che contano in modo da far cadere come settimo giorno la domenica, tra le quali ad esempio troviamo l'italiano), o per indicare un giorno di riposo. Anche i nomi ebraici dei personaggi biblici sono molto diffusi in tutto il mondo. Le due parole ebraiche più diffuse nelle varie lingue mondiali sono אמן (amen "Amen") e הללויה (halleluya "Alleluia").

Premi Nobel per la letteratura di lingua ebraica

Note

1^ Ebrei erranti Adelphi

2^ la voce Hebrew in Ethnologue

Bibliografia

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